E’ la domanda che mi sono posto più volte durante la pandemia e che è riaffiorata alla mente in questi giorni di trambusto istituzionale.
Da scienziato, ho spesso avuto la sensazione che la politica guardi alla scienza come una sorta di mostro da tenere in gabbia, nutrendolo il minimo indispensabile per non farlo morire di stenti e da sguinzagliare alla bisogna nel caso ci fosse una qualche emergenza da affrontare. Un po’ come i Raptor in Jurassic World, solo con meno artigli e denti.
Immagine di repertorio del Presidente del Consiglio Conte, ad una riunione con il comitato tecnico scientifico – Pandemia 2020
Ma perchè questa sgradevolissima sensazione? Beh, i fatti sono abbastanza lampanti. La situazione della scienza in Italia è drammatica. Sforniamo una quantità importante dei migliori cervelli del mondo, eppure non riusciamo a valorizzarli tanto è vero che molti vanno all’estero, per arricchire il know-how di altre nazioni. Siamo tutti d’accordo che la scienza dovrebbe essere universale ed il sapere distribuito a tutti, ma al momento viviamo ne mondo reale e purtroppo dobbiamo constatare come spesso il divario culturale e tecnologico tra noi ed il resto del mondo (almeno la parte più sviluppata) stia progressivamente aumentando. La causa di tutto ciò, è facile appiopparla ai tagli all’istruzione, alla ricerca eccetera, ma il problema è anche un altro, a mio avviso.
Alla politica, non piace che qualcuno ne sappia più di lei. Viviamo in un paese in cui ci sono puntualmente 60 milioni di allenatori di calcio, ingegneri strutturisti, virologi e qualsivoglia altra professione altamente specializzata. E se la politica è lo specchio del paese, allora vuol dire che i politici soffrono dello stesso male. Ne abbiamo avuto a prova durante la pandemia. Tutti i politici, tutti, hanno sfoderato la loro opinione (più o meno valida) spesso in barba alle affermazioni ed ai dati scientifici degli esperti del settore. Perchè? Perchè il dibattito scientifico, in masse non informate adeguatamente (e credetemi, l’informazione scientifica in Italia ha più o meno i livelli del Cioè per un dodicenne) può polarizzare intere masse di voti, in un senso o nell’altro. Se gli scienziati stessi, diventano delle rockstars (vedi i vari Bassetti & Co.), litigando sui media e lanciandosi accuse e frecciatine, il politico astuto (neanche tanto in verità) ha gioco facile a salire su un carro piuttosto che un altro, seguendo la convenienza. E’ un fatto che i partiti campino di campagna elettorale semi-permanente, cambiando posizioni a seconda dei risultati dei sondaggi. Perchè si è rovesciato il meccanismo per il quale non sono più le azioni politiche a determinare i risultati dei sondaggi, ma sono i risultati dei sondaggi a determinare le scelte politiche. Questo porta ad un altro effetto negativo, ossia il parlare alla pancia dell’elettorato, soprattutto per questioni per cui lo stesso elettorato non è minimamente preparato e non può decidere. Facciamo un esempio abbastanza facile: il nucleare.
In Italia avevamo un programma di centrali comunque di tutto rispetto. Personalmente, ero, sono e sarò sempre a favore dell’energia atomica (a patto che comunque questa venga gestita come si deve) ma una buona fetta del popolo italiano, all’indomani della tragedia di Chernobyl, sull’onda emotiva di paura e scetticismo votò in un referendum a favore della chiusura delle centrali nucleari. La storia si è ripetuta nel 2011, tra l’altro in concomitanza dell’incidente di Fukushima (non è che portiamo sfiga noi?) e sappiamo tutti come è andata a finire.
Ora, in quel caso, la politica non riuscì ad assumersi la responsabilità di prendere una decisione nell’interesse della nazione. Scaricare la responsabilità su persone non adeguatamente preparate, è sintomo di una debolezza ed incapacità di governare. La democrazia rappresentativa è proprio questo, demandare ad altri il compito di amministrare lo Stato proprio perchè noi non ne siamo in grado (oltre al fatto di essere molto poco pratico).
Anni fa lessi una frase che mi colpì molto, ossia che il buon politico dovrebbe comportarsi come un buon genitore. In questa metafora, il popolo è il figlio, che quando sbaglia o non è in grado di decidere, viene guidato verso la migliore delle opzioni.
In Italia questo non avviene ormai da decine di anni, salvo sporadici casi.
La scienza non è neutrale. La scienza prende posizione in base alla verità dei fatti e dei dati raccolti e questo cozza con la politica, che invece spesso si trova a mediare tra più posizioni divergenti tra loro.
Ma la trappola è proprio qui. A volte, ci sono dati di fatto incontrovertibili per i quali i politici dovrebbero assumersi la responsabilità oggettiva di andare a volte anche contro il consenso del popolo pur di prendere la decisione più giusta e più consona alla salvaguardia dello stesso. Perchè non farlo, significa avere anche una visione miope della politica (qualcuno diceva che il politico guarda alle elezioni, mentre lo statista alle generazioni future) in quanto una eventuale decisione giusta suffragata da fatti scientifici lì per lì contro il consenso popolare (o populista?) darebbe comunque dei risultati a lungo andare positivi che si spera verrebbero comunque riconosciuti dal popolo stesso.
Altro tema abbastanza spinoso è la ritrosia stessa della popolazione italiana verso la scienza. E’ un modo sempre più incalzante, che si manifesta soprattutto sui social media dove circolano le teorie più disparate, spesso ripetute a cantilena in un tam tam settario che parte da “me lo ha detto mio cuGGino che è studiato”. Ecco, anche qui noto una fortissima debolezza della politica che poco fa per contrastare le fake news, le teorie antiscientifiche e che non fa un sistematico fact-checking per sostenere la verità scientifica. E quindi ecco che avremo il proliferare di No Vax, No questo, No quello, complottisti del 5G e delle scie chimiche, gente che crede ancora che la terra sia piatta, gente che non crede allo sbarco sulla Luna.
Potrei sbagliare, ma non ho visto nessun partito fare della scienza e del progresso scientifico uno dei suoi cavalli di battaglia, un suo elemento di bandiera proprio perchè la scienza non essendo “controllabile” ma solo “soggiogabile” al potere dei lacci della borsa dei soldi, non può essere usata efficacemente dalla politica stessa durante le campagne elettorali.
Spero che un giorno un fantomatico partito politico faccia proprio questo sfogo, questo punto di vista, che magari è condiviso da molti scienziati come me. Che venga promosso uno sviluppo scientifico e culturale a 360 gradi, così da scatenare una spirale virtuosa in cui scienza e cultura vadano a permeare capillarmente tutta la vita del paese, perchè facendo ciò si innescherebbe anche una maggiore responsabilità da parte degli elettori, che a loro volta voterebbero probabilmente rappresentanti migliori. Attenzione, quello che auspico non è la tecnocrazia. Un politico deve fare il politico ed uno scienziato lo scienziato. Mischiare i ruoli sarebbe probabilmente ancora più negativo, tuttavia credo che una onesta collaborazione tra le parti sarebbe di reciproco vantaggio e sarebbe negli interessi del paese. La scienza deve fornire puri fatti e risultati, ma il pallino della decisione deve rimanere alla politica, a patto che, ribadisco, la decisione finale venga presa non per il tornaconto a breve termine espresso in mole di voti, ma per il benessere di tutti a lungo termine. In fondo, sarebbe “the bare minimum” per un atteggiamento etico dei rappresentanti eletti, visto che politica vuol dire servire. Si, ma servire il popolo, non la politica stessa.