La Stazione Spaziale Internazionale – ovvero il più grande esperimento Lego della storia

Qualche settimana fa durante una delle mie solite notti insonni ho pensato che sarebbe stato carino fare un carosello (c’è qualcuno che dice che il termine carosello sia un po’ da boomer) su Instagram con delle slide riguardanti la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale.

Mi sono accorto che effettivamente, nonostante conoscessi abbastanza l’argomento, più mi mettevo a cercare fonti e dettagli, più diventava impossibile condensare il tutto in un carosello di 20 immaginette su un social network.

Le risposte che mi son dato son state in sequenza:

  1. E bravo cogli1!
  2. Adesso vi puppate un articolo intero!

Iniziamo quindi con un breve preambolo necessario a capire come si è arrivati alla costruzione di quel grazioso oggettino che orbita sulla testa a 500 km d’altezza e a 27.000 km/h di velocità (battuto solamente dalla velocità di fuga di un dipendente statale dall’ufficio allo scoccare della fine dell’orario di lavoro del venerdì prima di Natale).

Capitolo 1: Il contesto – I mitici anni ’90

Erano i primi anni ’90 quando si iniziò a pensare che forse era il caso di costruire un laboratorio orbitante di comune accordo tra i grandi attori spaziali del tempo. Il motivo era semplice: unire forze, competenze e spartire i costi, perchè la Russia, sorta dalle ceneri dell’URSS stava per mandare in pensione il suo orgoglio, il suo fiore all’occhiello, ossia la MIR e di certo non aveva abbastanza palanche (NdR: soldi) per costruire la MIR2, programma che fu infatti cancellato. C’erano un po’ di cose da sistemare tipo… tutto.

Gli Stati Uniti dal canto loro, con mamma NASA, avevano speso una vagonata di soldi per lo Space Shuttle, che tra i compiti aveva appunto quello di mettere in orbita grossi carichi (tra cui il progetto di stazione spaziale a stelle e strisce) ed erano anche freschi di quel bellissimo programma in stile guerra fredda che è stato il programma Shuttle-MIR, dimostrazione che Yankee e Bolscevichi potevano lavorare di nuovo insieme come avevano fatto anni prima con il programma Apollo-Soyuz. Insieme a queste strette di mano spaziali, vennero fuori anche i piani per la costruzione della nuova Stazione, in collaborazione tra NASA, Roscosmos, ESA, CSA (Canada) e JAXA (Giappone). Inizialmente Mosca voleva riciclare pezzi della MIR per la nuova ISS, ma da Washington declinarono gentilmente l’offerta, visto che quei moduli erano oggettivamente ormai datati e non fossero propriamente il massimo dell’affidabilità (ovviamente il rifiuto fu più galante e cortese di così).

A questo punto della storia siamo ancora al 1993, anno in cui sono successe cose buffe.. tipo l’arresto di Totò Riina, lo scioglimento della Democrazia Cristiana (wait…wait… guarda un po’ lo stesso anno…mah.. che strana la trattativa Stato Mafia strano il caso), l’uccisione di Pablo Escobar e l’uscita di Doom per PC (IDDQD e IDKFA sempre presenti nella mia memoria)

Capitolo 2: L’inizio della costruzione

Dobbiamo attendere il 1998 per vedere in orbita il primo tassello della Stazione Spaziale Internazionale, lanciato dalle remote steppe del Kazakistan con un razzo Proton-K sovietico russo.

Il primo blocco, chiamato Zarja (che in russo vuol dire alba) serviva come base per l’aggancio degli altri moduli, in particolar modo del segmento Unity costruito dagli USA.

Zarja è anche deputata alla produzione di energia (almeno inizialmente) essendo dotata di due pannelli solari, oltre che ad un altro aspetto fondamentale, ossia il controllo dell’assetto. A bordo infatti sono presenti 24 razzi di manovra e 16 serbatoi di propellente. E voi direte: ma perchè? Eh, perchè la ISS perde regolarmente un po’ di quota, per via di un leggerissimo ma quanto fastidioso attrito con gli strati più alti dell’atmosfera e quindi periodicamente si devono dare una spintarella per tornare alla quota corretta, per non finire arrostiti, a pezzi e precipitare sulla testa di qualche sfortunato.

Due settimane dopo (dal 20 novembre al 4 dicembre del ’98) partì la missione STS-88 dello Space Shuttle Endeavour che al suo interno portava il modulo Unity ed il PMA1.

Già, qui è necessario fare aprire una piccola parentesi. Russi e americani si sono messi d’accordo per lavorare insieme, ma non proprio proprio su tutto. Gli agganci dei moduli infatti, hanno mantenuto le specifiche tecniche dei proprietari, rendendoli quindi incompatibili all’attracco. E’ stato quindi necessario sviluppare un adattatore che permettesse l’aggancio, un po’ come quando volete mettere le vostre cuffie cablate all’iPhone ma papà Tim Cook ha deciso di togliere il jack e quindi vi serve un connettore lightning. Questo adattatore si chiama appunto PMA, che sta per Adattatore d’Accoppiamento Pressurizzato (Pressurized Mating Adapter).

Sono state necessarie svariate ore di attività extraveicolari (EVA) o come vengono brutalmente definite “passeggiate spaziali” per connettere i due moduli, anche grazie all’aiuto del Canadarm (ossia il braccio robotizzato in dotazione allo Shuttle, il quale permette la movimentazione di grossi carichi).

Tuttavia si dovranno aspettare ancora due anni, prima che la ISS fosse abitabile e quindi pronta ad ospitare equipaggi permanenti. A quel tempo, ad un ipotetico guardone dallo spazio, la struttura appariva così:

Capitolo 3: Finalmente abitabile

Eeeee arriviamo al mitico anno 2000! Sopravvissuti al millennium bug, era giunto il momento di accelerare con la costruzione e quindi a luglio fu lanciato con un razzo Proton-K il modulo Zvezda, che in russo vuol dire stella (ammappete che fantasia).

Questo modulo è stato di fondamentale importanza per due motivi: il primo è che finalmente garantiva l’abitabilità, fornendo lo spazio necessario e soprattutto il supporto vitale. Inoltre, garantiva anche ai russi di poter attraccare alla stazione con le loro navette Soyuz per il trasbordo di cosmonauti, oppure consentire l’attracco delle navette progress (praticamente delle Soyuz modificate, automatizzate, che servivano per il rifornimento della stazione) e dell’ATV europeo (Automated Transfer Vehicle, altro mezzo di rifornimento della stazione).

Prima dicevo del supporto vitale. In effetti queste componenti sono state di importanza vitale, visto che il modulo russo ha implementato gli alloggiamenti per il riposo degli astronauti (due..non è che sia un resort), il generatore d’ossigeno “Elektron” (tramite elettrolisi dell’acqua ottenuta per condensazione dall’umidità dell’aria e dalle acque di scarico… banalmente sudore e pipì e poco altro). Oltre a ciò è stato implementato anche il frigo per le vivande, una cucina piuttosto spartana e la cosa più importante di tutte: il gabinetto.

Per il primo ingresso nel nuovo modulo bisognò attendere però settembre, quando la missione dello Shuttle Atlantis permise con alcune attività EVA, l’aggancio dei cavi audio, video, alimentazione elettrica e fibre ottiche per la telemetria.

Il giorno dopo le attività EVA, gli astronauti entrarono per la prima volta nel modulo, aprendo l’apposito portello di connessione tra Zvezda ed il resto della stazione. Ah per inciso, abitabilità non è proprio sinonimo di comfort (almeno nei moduli russi) visto che gli astronauti si sono più volte lamentati dell’eccessiva rumorosità in quell’ambiente. Rumorosità che è talmente forte da obbligarli a mettere i tappi per le orecchie. All’accoglienza diamo 4.

Capitolo 4: La stazione cresce!

Arriviamo al 2001 e con la missione STS 98 sempre dell’Atlantis, gli Stati Uniti portano in orbita il modulo Destiny, costruito dalla Boeing. Sostanzialmente un grosso cilindro in alluminio, ma di fondamentale importanza per due motivi: il primo è che finalmente la stazione veniva dotata di uno spazio di lavoro per quello che era l’obiettivo principale, ossia la ricerca scientifica. Il secondo è perchè Destiny è anche il supporto a cui viene agganciata la maggior parte di quella che è chiamata Integrated Truss Structure. Questa superstruttura è praticamente il sostegno a tutta una serie di componenti (come pannelli solari, radiatori, ed altri sistemi essenziali per la stazione) che però non richiedono la presenza di ambienti pressurizzati e che solitamente vengono raggiunti tramite passeggiate spaziali. Di sotto potete vedere lo Shuttle che aggancia tramite il Canadarm il modulo Destiny, spostandolo poi in posizione di aggancio alla ISS (la stiva di cargo, per quella missione era veramente a tappo!).

Facciamo un salto di qualche mese ed arriviamo a Marzo. Stavolta è lo Shuttle Discovery che parte da Cape Kennedy e porta in orbita questa volta il primo modulo europeo, Leonardo, con la STS-102.

Questo modulo è stato costruito in Italia e teoricamente il suo nome sarebbe “Multi-Purpose Logistic Module”. Serve sostanzialmente come guscio per trasportare dell’attrezzatura a bordo dello Space Shuttle e grazie al Canadarm agganciarla alla ISS (ad Unity, per la precisione). Il suo compito però non finisce qui, infatti viene caricato di rifiuti ed altri oggetti, rimesso nello Shuttle e riportato a terra, così da essere riutilizzato per altre missioni. In totale Thales-Alenia ha costruito tre di questi moduli. Leonardo, Raffaello e Donatello.

Leonardo è stato il più fortunato, visto che nel 2010 è stato modificato per diventare un modulo permanente (Permanent Multipurpose Module) e venire agganciato alla stazione con la STS-133. La costruzione di questo modulo, ha consentito anche all’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) di ottenere tempo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, con astronauti provenienti dall’italico stivale. Il primo europeo a mettere piede sulla ISS è stato infatti l’italiano Umberto Guidoni, con la missione STS-100 dell’Endeavour, che si è occupata tra l’altro di montare il Canadarm2 sulla stazione oltre al modulo Raffaello.

Credo sia giusto fare un piccolo inciso sul Canadarm2. Questo braccio meccanico costruito indovinate dove? Già, dove hanno la bandiera con la foglia d’acero. Avere un braccio svincolato dalla presenza dello Shuttle, consentiva di spostare carichi in maniera più semplice e più frequente, agevolando le passeggiate spaziali, visto che può essere utilizzato anche come supporto per spostare gli astronauti nello spazio. Tra l’altro, è anche mobile, avendo delle guide su cui può scorrere ed in generale può essere agganciato ad ogni posizione della stazione ove sia disponibile quello che viene definito PDGF (Power Data Grapple Fixture), praticamente una presa di alimentazione e dati per farlo funzionare.

GUARDA MAMMA SENZA MANI! Cit.

Saltiamo di nuovo in avanti ed arriviamo all’estate del 2001. Parte la missione STS-104 dello Space Shuttle Atlantis (ammazza che mulo poveraccio.. ci credo che l’hanno mandato in pensione ad un certo punto). Questa volta una serie di attività extraveicolari hanno permesso l’installazione di un componente che ha reso le operazioni all’esterno della stazione molto più agevoli. Sto parlando del modulo Quest, che de facto è un airlock, ossia una camera di compensazione in cui nell’anticamera gli astronauti possono indossare le tute (ed anche qui americani e russi hanno le loro differenze, con le tute EMU da una parte e le Orlan dall’altra. “Oddio sta EMU mi ingrassa, dammi quella russa che sfina!”) e poi entrare in una camera di equilibrio che viene depressurizzata consentendo l’uscita all’esterno tramite apposito portellone. Prima dell’installazione di Quest, si poteva uscire solo se lo Shuttle era attraccato, oppure dalla parte russa della stazione. Contestualmente sono stati montati all’esterno del modulo anche i serbatoi ad alta pressione che servono per le operazioni dello stesso. Sotto potete vedere come il solito buon Canadarm prende il Quest dalla stiva dello Shuttle e lo porta in posizione per essere agganciato alla ISS.

Da questo punto in poi, le operazioni dello Shuttle verso la ISS subiranno un brusco rallentamento a causa della tragedia dello Space Shuttle Columbia, distrutto nel 2003 al rientro nell’atmosfera a causa di un danno catastrofico all’ala, colpita durante il lancio da un frammento del rivestimento del serbatoio principale. Il danno procurato causò un cedimento strutturale a causa del fortissimo calore sprigionato dall’attrito con l’aria. Moriranno tutti e 7 gli astronauti a bordo, imponendo uno stop brusco di tutti i lanci della navetta.

Anche negli anni successivi, i voli dello Space Shuttle rimasti (anche il Challenger andò distrutto in un incidente del 1986), destarono preoccupazioni, visto che ad ogni lancio si riscontravano problemi allo scudo termico, con mattonelle saltate e frammenti di rivestimento che a causa delle forti sollecitazioni si sbriciolavano colpendo la navetta. Questo rese per un periodo i russi gli unici in grado di raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, grazie alla Soyuz.

Capitolo 5: l’ultima fase della costruzione

Nel 2007 con la STS-120 dello Space Shuttle Discovery, venne finalmente ripresa la costruzione della Stazione, con la messa in orbita e l’aggancio del modulo Harmony, il secondo modulo “nodale”, che diventerà anche uno dei centri più importanti di tutta la struttura. Pur essendo sviluppato dalla NASA, in realtà Harmony è stato costruito a Torino, da una Joint-Venture tra Alcatel ed Alenia Spazio.

Al suo interno sono stati installati ulteriori sistemi di supporto vitale ed avendo ben 6 punti di aggancio per altri moduli ha esteso notevolmente lo spazio abitabile della stazione.

E’ infatti ad Harmony che verrà agganciato un altro elemento importantissimo della ISS, ossia il modulo Columbus (il cui nome ufficiale è Columbus Orbital Facility). Questo modulo costruito sempre in Italia, a Torino da Thales Alenia, è il laboratorio di ricerca europeo in orbita. Viene utilizzato per fare esperimenti in microgravità e può alloggiare un elevato numero (10) di ISPR (praticamente degli slot a misure standard in cui vengono inseriti esperimenti scientifici). Ma non solo, ha anche quattro punti d’aggancio esterni per strumentazione scientifica per esperimenti riguardanti l’esposizione al vuoto e l’osservazione dello spazio (senza quella noiosissima interferenza dell’atmosfera terrestre). Dopo Columbus è stato il turno dei giapponesi, che hanno portato in orbita il modulo Kibo con le missioni shuttle di Endeavour (STS-123) e Discovery (STS-124).

I moduli Columbus (a destra) e Kibo (sinistra e sotto)

Questo modulo diviso in due subunità è stato costruito per ospitare altri esperimenti scientifici di varia natura, dalla medicina spaziale, alla scienza dei materiali, biologia eccetera. Essendo un modulo composto da più subunità, ha la particolarità di essere dotato di una parte pressurizzata e non pressurizzata per esperimenti riguardanti l’esposizione allo spazio. Tra l’altro ha un braccio robotizzato per la manipolazione degli esperimenti all’esterno.

Ok che è giapponese, ma no.. non è quello il braccio robotico!

Alla fine della prima decade degli anni 2000 anche i russi si sono dati da fare per ampliare la stazione lanciando tramite il solito vettore Soyuz il modulo Poisk, destinato ad altri esperimenti scientifici da parte dell’accademia delle scienze vulcaniane russa. Serve anche per l’attracco di altre navicelle Soyuz e Progress (in realtà il modulo stesso non è altro che una navetta progress modificata…alla faccia del cost containment).

Arriviamo quindi al 2010 e la missione dell’Endeavour STS-130. E’ qui che secondo me viene montata una delle migliorie più fighe della Stazione Spaziale Internazionale. C’è il modulo Tranquillity costruito indovinate da chi? Sempre da Thales Alenia a Torino! Ed a lui viene agganciata la famosissima cupola, sfruttando il Common-Berthing-System (CBM), sostanzialmente il nuovo tipo di aggancio che tutti possono utilizzare, tranne i russi. Eh la cupola. Si la cupola è il punto di osservazione della Terra migliore che esista. E’ una finestra di 80 centimetri di diametro, con altre finestre su una base esagonale. Tutte le finestre hanno dei portelli di sicurezza esterni che servono come protezione per l’impatto di micrometeoriti o detriti spaziali, visto che ormai l’orbita sta diventando una pattumiera galleggiante. Ma diciamolo, potete vedere panorama migliore da qualunque altro posto? Io direi di no.

Oltre ad essere utile per l’osservazione e per i momenti di relax dell’equipaggio, la cupola viene anche utilizzata come postazione di comando per la movimentazione dei carichi esterni tramite il braccio robotizzato. In tutto questo mi stavo dimenticando due cose: la prima è che poverino, Tranquillity me lo sono volato. Il modulo (node 3) è sostanzialmente una palestra per gli astronauti della ISS. Qui vi sono molti attrezzi ginnici progettati per il vuoto, perchè la permanenza a bassa gravità crea tutta una serie di problematiche per la salute, ed uno dei modi per contrastarle è appunto un buon esercizio fisico quotidiano (che raggiunge anche le 3 ore al giorno). All’interno vi sono dei manubri che simulano il peso e permettono quindi all’atleta spaziale di agganciarsi e “fare pesi”. In più, c’è un tapis roulant a cui gli astronauti di agganciano con “cintura e bretelle”, per rimanere attaccati alla superficie ove corrono.

Oltre a questa palestra in realtà il modulo Tranquillity ha portato altre migliorie tecnologiche, come ad esempio un nuovo generatore di ossigeno più performante ed un altra toilette, perchè nel caso la prima fosse occupata e ti scappasse impellentemente almeno non rischi di fartela nei pantaloni a gravità 0.

Tra il 2010 ed il 2011 arriviamo alle ultime due missioni effettuate dagli Space Shuttle per l’assemblaggio della stazione. Atlantis e Discovery (STS-132 e 133) portano rispettivamente il modulo Rassvet (da parte russa, fungendo da magazzino) agganciandolo al modulo Zarja e Leonardo, diventato come dicevo prima a questo punto un modulo permanente. E’ sostanzialmente un deposito per pezzi di ricambio, consentendo quindi alla Stazione Spaziale Internazionale di operare con più autonomia rispetto ai rifornimenti dalla Terra per tempi più lunghi. A questo punto la stazione appariva nel 2011 così:

A questo punto credo sia doverosa una precisazione. La ISS ha un verso, essendo un oggetto che si muove nello spazio. Ha una prua ed una poppa, un lato di babordo e tribordo, uno zenith (lato superiore) ed un nadir (lato inferiore). Ad esempio, la cupola essendo sulla parte inferiore è posta quindi al nadir. Il moto della stazione è sempre lo stesso, come viene mostrato nella figura sotto.

Capitolo 5: l’avvento di SpaceX

Con il pensionamento dello Shuttle si pose il problema di come rifornire la ISS di materiali e soprattutto del ricambio degli equipaggi. Ed ecco che l’azienda di Elon Musk divenne un attore importante per la vita della Stazione Spaziale Internazionale.

Nel 2016, grazie ad un vettore Falcon 9 di SpaceX venne lanciato il Bigelow Expandable Activity Module (o BEAM) con la missione CRS-8. Sostanzialmente è solo un palloncino gonfiabile attaccato ad uno dei portelli. Il processo di gonfiaggio crea ovviamente spazio ulteriore per lo stoccaggio di materiale tramite appositi sacchi di trasferimento. Inoltre l’esperimento ha dimostrato come questo rivestimento gonfiabile e flessibile abbia dopo un anno resistito sia al vuoto cosmico che all’impatto di alcuni micrometeoriti. Per il resto della stazione infatti, la protezione è “garantita” per quanto possibile da materiali come l’alluminio, il kevlar e la fibra di carbonio.

“Ahò.. e mò vò buco sto pallone” – cit. micrometeorite proveniente da Fiano Romano

Nel 2020 invece con la CRS-21 venne agganciato alla stazione il Bishop Airlock Module, che consente la distribuzione di piccoli satelliti (come i CubeSat), carichi di vario genere, oppure il dispiegamento di esperimenti scientifici provenienti da realtà accademiche. Questo è stato il primo modulo completamente finanziato da privati ed è stato un passo importante in ottica Space Economy. E’ stato costruito in collaborazione tra Thales Alenia, Boeing e Nanorack.

Ma SpaceX non è solo in grado di lanciare moduli, è piano piano diventata sempre più fondamentale anche per il trasferimento di equipaggi e carichi di rifornimento con le capsule Dragon. Anche Boeing ha un suo programma per il trasferimento di equipaggi verso la ISS, con la capsula Starliner. Tuttavia al lancio inaugurale, alcuni problemi ai propulsori hanno costretto l’equipaggio ad aspettare una sorta di Taxi spaziale tramite proprio SpaceX, la diretta concorrente. Uno smacco non da poco. C’è anche da dire per correttezza che però Starliner è riuscita a rientrare senza problemi nell’atmosfera, in maniera del tutto automatizzata. Un eccesso di scrupolo? Forse, ma comunque comprensibile.

Crew Dragon in avvicinamento alla SpaceX sfruttando l’International Docking Adapter (IDA)

Capitolo 6: gli ultimi moduli russi

Concludiamo brevemente con il 2021, anno in cui sono stati lanciati tramite vettore Proton-M e Soyuz gli ultimi due moduli che completano il segmento russo della ISS.

Il primo, Nauka, è un modulo-laboratorio dove vengono effettuati esperimenti in microgravità. E’ anche utilizzato per l’aggancio di navette. E’ progettato per fungere da ulteriore spazio “vivibile” per gli astronauti e fornire in caso di necessità un controllo dell’assetto della stazione in caso di avaria del sistema primario.

Il secondo ed ultimo modulo è Prichal, una sorta di ulteriore baia di attracco sferica, con 5 punti di aggancio per le navette russe. In realtà era progettato anche per agganciare ulteriori moduli scientifici ed abitativi futuri, ma gli eventi che hanno coinvolto la Russia negli ultimi anni hanno portato ad una cancellazione di questa parte del programma.

La ISS completata in tutto il suo splendore

Capitolo 7: il destino della ISS

Nel 2028 la Stazione Spaziale Internazionale festeggerà i suoi 30 anni di servizio, un’età ragguardevole per un oggetto che permane nello spazio e che ha visto affrontare anche notevoli difficoltà, tra incidenti e guasti. Il costo di costruzione si aggira intorno ai 150 miliardi di dollari solo fino al 2010, senza contare le spese affrontate in seguito per l’aggiornamento ed il mantenimento dei sistemi, l’approvvigionamento eccetera. I costi inevitabilmente continueranno a salire, mano a mano che la stazione invecchia. Negli anni sono stati effettuati aggiornamenti ai sistemi di supporto vitale, sono stati migliorati gli spazi abitabili e le condizioni di vita degli equipaggi. Sono stati aggiornati tutti i computer della stazione (sono più di 100 portatili), passando dai vecchi IBM a nuovi Thinkpad su cui è stata installata una distro di Linux Debian apposita al posto del vecchio windows XP, per motivi di sicurezza e per avere il controllo totale sul sistema operativo.

Nel 2024 è stato annunciato però che la ISS verrà decommissionata a partire dal 2030, con un progressivo de-orbiting che farà mano a mano diminuire la quota fino a quando non brucerà nell’atmosfera ed i detriti più grossi andranno a finire in un punto dell’Oceano Pacifico nell’area denominata come “Punto Nemo” dove vanno a finire tutti i rottami che rientrano in maniera controllata nell’atmosfera terrestre, essendo il punto più lontano da qualsivoglia sfortunato che potrebbe vedersi cascare in testa un pezzo di satellite o altro.

SpaceX ha vinto l’appalto per il de-orbiting che verrà effettuato utilizzando una capsula Dragon modificata e che utilizzando i suoi propulsori modificherà la traiettoria spingendola verso l’atmosfera.

A quel punto saranno comunque già entrati in gioco altri attori nella scena spaziale. Infatti le nuove stazioni saranno costruite da una costellazione di nuove aziende private che si faranno carico della messa in orbita dei nuovi avamposti (allo stato attuale, oltre alla ISS vi è in orbita una stazione spaziale cinese, la Tiangong, che vuol dire “palazzo celeste”, ma sappiamo che i cinesi non è che facciano proprio gioco di squadra quando si tratta di materia spaziale).

Allo stato attuale i progetti principali sono 3: Orbital Reef di Blue Origin (aka Jeff Bezos) e Sierra Space, Starlab di Voyager Space e Axiom Station di Axiom Space. Tra l’altro con Axiom Space, l’ESA ha firmato degli accordi per avere accesso alla stazione, ed il modulo principale sarà costruito sempre da? Indovinato, Thales Alenia, in Italia. Insomma, c’è stato, c’è e ci sarà sempre tanta Italia in orbita.

Ok, ho finito. Probabilmente ho dimenticato qualcosa, probabilmente avrei dovuto mettere anche altri dati ma… oh intanto vi beccate questo. E comunque avevo ragione, in un carosello tutta sta roba mica ci stava.

CIAO!

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