Dalla Terra alla Luna – L’Apollo 11

“That’s one small step for a man, but a giant leap for mankind” – Neil Armstrong, Salerno-Reggio Calabria Luna, 1969

Beh, son già passati 53 anni da quella notte di luglio del 1969, quando praticamente l’intero mondo si piazzò incollato a radio e tv per seguire le gesta di tre astronauti (si erano tre, stronzi! Per quale cazzo di motivo vi dimenticate sempre del povero Michael Collins, rimasto da solo in orbita lunare ad aspettare i due villeggiatori spaziali?) partiti dalla Florida per andarsi a fare una passeggiatina sul nostro satellite.

Ma, come è nata l’idea di andare sulla Luna? E come ci siamo riusciti? Il discorso è piuttosto complesso, ma cercherò di farvi un riassunto, bambini.

Citando Qui Gon Jinn, caro Onorevole Sibilia, Sottosegratario agli interni (how the fu** is this possible…SHIT!), la capacità di parlare non fa di lei un essere intelligente.

Senza partire dal probabile primo asociale della storia, che per fuggire dall’umanità in stile nonno di Heidi e voler emigrare sul nostro satellite, diciamo che uno dei primi punti di partenza dell’avventura targata NASA è sicuramente da attribuirsi ad un uomo. No, non il solito americano di turno, bensì ad un tedesco, tale Wernher Von Braun. Questo signore era indiscutibilmente un uomo di talento scientifico ed ingegneristico. Era infatti il capo del progetto V1 e successivamente V2. No, non c’entra il composto V della Vought di The Boys. le V1 e V2 (Vergeltungswaffe, letteralmente “arma di rappresaglia”) erano i primi razzi guidati che colpirono in maniera tremenda l’Inghilterra durante la seconda guerra mondiale. Nonostante la tragicità della cosa, sicuramente qui razzi furono i precursori dei loro successori più grandi e potenti che ancora oggi consentono le missioni spaziali.

Vabbè comunque tutti sappiamo più o meno come è andata a finire la WW2, quello che forse non sapete è che con i russi dell’Armata Rossa alle porte, Wernher e soci pensarono bene che probabilmente la vita a suon di Vodka, AK47 e Siberia non era proprio ciò che avrebbero preferito per le loro famiglie, quindi decisero di optare per votarsi alle stelle e strisce, consegnandosi agli alleati.

Gli americani non se lo fecero ripetere due volte e fecero piazza pulita di uomini e prototipi, portando il pacchetto in patria con un corriere Bartolini.

Andiamo avanti. Von Braun ha sempre avuto il pallino di usare i suoi razzi per l’esplorazione spaziale, per portare uomini su altri mondi, poi il fatto che inizialmente fossero usati per atterrare sul pianeta sbagliato e sulle case di innocenti londinesi era un fatto secondario no? La neonata NASA aveva un disperato bisogno di know-how e quindi sfruttò il team del tedesco per sviluppare i primi razzi per le missioni Mercury, poi Gemini ed infine le famose Apollo. Non starò qui a dilungarmi sulla storia delle prime missioni nello spazio, anche perchè causerebbero una tempesta di testosterone fortissimo vista la cazzutaggine di protagonisti, ed andremmo eccessivamente fuori tema.

Neil Armstrong (a sinistra) durante la missione Gemini 8. Per farvi capire la cazzutaggine, il buon Neil riuscì miracolosamente a recuperare il controllo della navetta malfunzionante, che iniziò a girare come una trottola nello spazio rischiando di bruciare al rientro nell’atmosfera o finire probabilmente da qualche parte alla deriva. Beh, dopo una roba del genere, starsene con il Ray-ban arrogante inforcato ed il gomito fuori dal finestrino come un tamarro in mezzo al traffico di Roma nell’ora di punta in una giornata d’agosto, non è roba da poco.

Ok, facciamo dei salti in avanti temporali. Nella corsa allo spazio tra sovietici ed americani, i secondi erano palesemente indietro. Si presero anche delle discrete scoppole, perchè i russi riuscirono a mettere in orbita per primi un satellite artificiale, ed a spedire un uomo nello spazio prima degli Yankee. La vittoria del proletariato contro il capitalismo sembrava praticamente ad un soffio. Tuttavia Kennedy, in un impeto di “ce l’abbiamo più duro” in pieno stile Bossi fece un celebre discorso nel 1962 in cui annunciava l’intenzione di mandare un uomo sulla Luna e riportarlo indietro (perchè si sa, pagargli la trasferta a vita poteva essere eccessivo per il budget), entro la fine degli anni 60. Sappiamo che JFK non vedrà mai il risultato del suo discorso, causa headshot durante un 1v1 only sniper a causa dell’attentato celebre a Dallas. Questo brutale All-in del presidente diede un impulso spaventoso all’opera della NASA, che mise in piedi una serie di missioni propedeutiche con i nuovi razzi Saturn (solo perchè venivano dopo i missili Jupiter………che fantasia) per il successivo sbarco umano sulla Luna.

Il papà dei razzi Saturn, Von Braun, fieramente accanto alla sua creazione

Ma il razzo Saturn? Beh era un discreto bestione. Nella conformazione V (no non per la bomba, ma 5 in numero romano), quella che è andata sulla Luna, era alto 110 metri e rotti, pesava 2970 tonnellate e poteva trasportare un carico utile di circa 50 tonnellate (se da immettere in orbita lunare).

L’intero razzo era diviso in tre stadi. Il primo serviva per il lancio dalla rampa di Cape Canaveal, fornendo una spinta pazzesca, con i suoi 5 motori F1 (quelli nella foto di sopra).

La prima parte del lancio serviva per arrivare a 62 km circa di altitudine, ad una velocità superiore agli 8000 km/h. Il razzo bruciava Kerosene ed ossigeno liquido, una quantità spaventosa, tra tutti e due circa 2 milioni di litri. Il tutto in 2 minuti e rotti, solo per vincere l’iniziale ritrosia per la Terra a farsi scappare qualsivoglia veicolo dalla sua superficie. Vabbè tralasciando i consumi comunque paragonabili a quelli di una Ford Focus RS, una volta raggiunta la quota citata di sopra, avveniva il distacco del primo stadio, con l’accensione del secondo, spinto da 5 motori J2 alimentati a idrogeno liquido e ossigeno liquido. Se ve lo state chiedendo, no, alla NASA non pagavano le accise sul carburante.

In questa fase, il razzo accelerava fino a 28.000 km/h per raggiungere la sufficiente velocità di fuga ed altitudine. Gli astronauti erano sottoposti ad una discreta forza, belli schiacciati al sedile e con un’operazione di lifting facciale che faceva scomparire tutte le rughe.

Dopo circa dieci minuti avveniva la separazione del terzo stadio, a circa 160 km di altitudine. Quest’ultimo razzo non dovendo comunque vincere chissà quali forze, aveva un singolo motore J2 dello stesso tipo di quelli montati sul secondo stadio.

Ormai lanciati verso la Luna a 24.000 km/h e spicci, gli astronauti a questo punto dovevano effettuare un’ultima manovra per fare in modo che il modulo di comando (la punta del razzo) ruotando di 180° andasse ad agganciare il LEM (il modulo da sbarco) situato all’interno dell’ogiva del terzo stadio.

Personalmente questa configurazione l’ho sempre vista un po’ come andare a marcia indietro. Una scena degna di Fast and Furious.

Si ma come si pilota un bestione del genere? In realtà almeno nei primi minuti gli astronauti non facevano molto, essendo le procedure automatizzate. Potevano giusto, in caso di emergenza azionare il sistema di espulsione che sganciava tramite razzi situati nella torretta di punta, il modulo di comando per un ammaraggio in situazioni critiche.

Che li volete due pulsanti?

Insomma una volta messi in viaggio verso Pizzo Calabro non c’era che da attendere di fare quei 400.000 km che separano la Terra dal nostro satellite, sperando di non beccare traffico grazie alle partenze intelligenti.

Arrivati in orbita lunare, il buon Michael Collins sperimentò la solitudine di esser l’uomo più isolato dell’intera umanità, mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin scendevano verso la superficie lunare all’interno del LEM.

Pochi sanno che in realtà l’allunaggio non avvenne proprio nel posto prefissato. Per tutta una serie di errori di calcolo ed imprevisti, l’equipaggio rischiò di andare lungo e finire il carburante, Riuscirono a toccare il suolo lunare con ancora pochi secondi di propellente nel serbatoio, essendo riusciti ad evitare zone impervie che avrebbero accartocciato il leggerissimo veicolo come una lattina di coca-cola. Per questioni di carico utile infatti, il LEM aveva dei rivestimenti in alcune parti poco più spessi di un paio di fogli di carta stagnola, del tutto insufficienti a proteggerli da impatti particolarmente violenti.

L’interno del modulo lunare, anche qui pochi pulsanti

Ma quindi abbiamo toccato la Luna! Grandissimi. Bravi tutti, possiamo tornare a casa. Nooo scherzo. Il bello arriva adesso. Messe su le tute Adidas per le attività extra-veicolari (EVA), gli astronauti si trovarono davanti ad un problemino. La depressurizzazione non funzionò particolarmente bene, dell’aria era rimasta all’interno ed impediva di aprire lo sportello e quindi di uscire dal LEM. Mi immagino Armstrong tentato di sfondare a cazzotti tutto urlando “adesso lo spacco ‘sto pezzo di merda! Ho trovato un parcheggio non a pagamento e non posso scendere? AHO’!”. Risolsero piegando un angolino dello sportello a mano, così da far uscire l’aria residua. Anche qui cazzutaggine, perchè se poi non si fosse riuscito a richiudere? Eh?

Vabbè, comunque il primo a scendere la scaletta lo sappiamo tutti. E’ stato Armstrong pronunciando la celebre frase citata all’inizio del post. Alle 4.56 italiane, Neil posò il piede sulla polverosa superficie della Luna, stampigliando nell’immaginario collettivo quell’immagine per tutti i secoli futuri.

Aaaah un po’ di sano patriottismo a stelle e strisce…..

Dopo Armstrong scese Aldrin, ed insieme montarono l’asta della bandiera per le foto di rito. Una curiosità, nello spazio non c’è aria, quindi niente vento, e quindi la bandiera non svolazzava. Infatti aveva un’asta orizzontale per tenerla bella stesa. Tra l’altro la bandiera sbiadì per la radiazione solare intensa dopo poche settimane, oltre al fatto che venne abbattuta dai getti del motore del LEM durante la partenza, che triste fine.

Una volta eseguite le attività scientifiche (tipo sperimentare come camminare in maniera efficiente col “salto del canguro” ed installare un sismografo, strumenti vari come uno specchio per misurare via laser la distanza terra-luna con precisione e raccogliere rocce), gli astronauti tornarono a bordo del LEM. Togliendosi la tuta rovinarono tutto il romanticismo della missione, constatando come il nostro satellite in realtà puzzasse di uova marce/polvere da sparo a causa dello zolfo presente nelle polveri.

Durante il soggiorno lunare fecero anche una graziosa telefonata con il presidente Nixon (chissà che tariffa per una transplanetaria), il quale in realtà aveva preparato due discorsi. Uno per la riuscita della missione ed uno per l’eventuale morte degli astronauti in un ipotetico incidente. Miiiiii che ansia.

Ma il gioco è bello quando dura poco, ed infatti arrivò velocemente il momento della partenza, solo che…. Aldrin spogliandosi dalla tuta, ruppe il pulsante d’accensione del motore. E mò? Si può far partire sto catorcio coi cavi? Per fortuna, lo stesso Aldrin aveva trovato un pennarello durante il volo, che non doveva neanche essere a bordo. Casualmente quel pennarello aveva lo stesso diametro del foro del pulsante. Con uno spirito di sopravvivenza ed adattamento alla MacGyver, riuscirono ad accendere il motore per risalire in orbita ed effettuare il randevoux con Collins.

Piccola curiosità. Avete presente il computer di bordo del modulo di comando? Beh eccolo qui sotto. Aveva esattamente un processore da 2 MHz e pochi Kb di memoria. Praticamente il vostro GameBoy di quando eravate bambini era un supercomputer alieno degno di Star Trek in confronto. Questo a testimonianza di quanto ancora una volta fossero cazzuti uomini che si affidavano a macchine così primitive per imprese così incredibili.

Ok, randevoux fatto, grandi abbracci ed un altro viaggio di due giorni verso la Terra. Tutto qui? No, perchè durante il viaggio gli astronauti si liberarono del LEM e del modulo di servizio, ormai inutili alla missione, contribuendo alla spazzatura spaziale, visto che a quell’epoca non si faceva la differenziata.

Prima di festeggiare, un altro momento di ansia doveva essere superato. Il rientro in atmosfera, azzeccando con precisione il corridoio di ingresso, per non essere troppo inclinati o troppo poco. Nel primo caso, sarebbero bruciati in atmosfera per l’enorme attrito, nel secondo, sarebbero schizzati via nello spazio come un sasso piatto sullo stagno. In più, la navicella dopo aver sopportato il freddo estremo dello spazio, doveva sopportare l’estremo caldo del rientro (circa 1500 gradi) ed una velocità di circa 30.000 km/h.

In fondo erano dentro una cabina telefonica in metallo foderato sul culo con piastre di materiale refrattario fornito in appalto. Cosa potrebbe mai andare storto?

Per la rubrica “la fortuna aiuta gli audaci”, i nostri astronauti riuscirono ad ammarare nell’oceano Pacifico, insieme a 22 kg di campioni lunari, venendo recuperati dalla portaerei Hornet ed i suoi elicotteri SH3 Sea King.

Gli eroi, una volta a terra non poterono riabbracciare i loro cari, per paura di eventuali agenti patogeni extraterrestre e si fecero una quarantena di 21 giorni.

A quel punto, scongiurati eventuali Alien fuoriusciti dal petto, venne il momento delle celebrazioni consegnando gli astronauti alla fama mondiale ed alla storia.

Altra curiosità, il modulo di comando è attualmente esposto al National air and space museum dello Smithsonian. Il terzo stadio invece …eheheheh, continua a girare intorno al Sole con un’orbita simile a quella terrestre.

Ah un altro piccolo dettaglio. Buzz Aldrin, ricordate? Quello che è sceso per secondo. Beh, da lui la Disney ha preso il nome per il celebre personaggio Buzz Lightyear.

Verso l’infinito ed oltre!!!!

Spero che il post vi sia piaciuto, se avete altre curiosità, scrivetemi e cercherò di approfondire!

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