Marte – Il pianeta, le esplorazioni, il futuro

Buongiornissimo miei piccoli cuccioli di foca, oggi parleremo del cugino comunista della Terra, un pianeta che è più lontano di noi dal Sole. Il pianeta rosso, il pianeta del Dio della guerra. MARTE!

Scusate, ho sbagliato immagine. Sarà che devo ancora fare colazione e la fame si fa sentire.

Ad ogni modo, partiamo subito con dare qualche informazione in più sul pianeta, visto che bisogna conoscere quantomeno qualcosa su di lui, prima di parlare su come andarci.

Il buon Marte fa parte dei pianeti “interni” del sistema solare, insieme a Mercurio, Venere e la Terra. Sono i pianeti rocciosi, più piccoli, che si differenziano da quelli detti “giganti gassosi” più esterni (tipo Giove e Saturno per esempio).

Le sue dimensioni non sono particolarmente importanti. Anzi, è uno dei pianeti più piccoli (il terzultimo dopo Plutone e Mercurio) con soli 6779 Km di diametro, contro i quasi 13000 della Terra, per esempio.

Come la terra ci mette circa ventiquattro ore a compiere una rotazione su se stesso, ma avendo un’orbita più lontana dal Sole, l’anno dura 686 giorni, contro i nostri classici 365.

Essendo così piccolo anche la gravità ne risente, essendo circa un terzo di quella terrestre. Quindi per capirci, camminando sulla superficie del pianeta rosso pesereste molto di meno e fareste passi più leggeri. Non certo come Armstrong sulla Luna, ma comunque un discreto aiuto nel caso in cui i maschietti si volessero mettere a giocare a chi fa la pipì più lontano.

“Che zampillo con la bassa gravità!” Cit. Tom Sizemore in “Pianeta Rosso”

Certo è che per i fan della colonizzazione di Marte, le note dolenti non sono proprio poche. La temperatura media del pianeta infatti è di circa -60 °C, ed arriva anche a -150 °C in alcuni periodi dell’anno. La pressione atmosferica è bassissima, circa un centesimo di quella terrestre, ed ok, va bene per effettuare lanci i veicoli spaziali visto che l’aria è molto rarefatta, ma di respirare non se ne parla. Perchè? Perchè quella roccia che vaga nello spazio ha deciso che era meglio avere un’atmosfera dal 95% di anidride carbonica, 2,5% di azoto ed una spolverata infinitesimale di ossigeno ed altri gas. Insomma, non proprio aria del Trentino. A queste condizioni che non definirei paradisiache, aggiungerei anche il fatto che sul pianeta spesso vi sono tempeste di sabbia così forti da far sembrare gli uragani sulla terra dei piacevoli refoli di vento, oltre al fatto che un’atmosfera così rarefatta ed un campo magnetico degno di una calamita da frigo forniscono una protezione radiazioni di vario tipo praticamente inesistente.

Però hey! Per gli appassionati della montagna, Marte offre la vetta più alta del sistema solare interno, il Monte Olimpo, con i suoi 25 Km di altezza (fa sembrare l’Everest una collinetta) ed i 600 di estensione (per intenderci il complesso è grosso quasi quanto la Francia).

Ma perchè è rosso? Beh semplicemente perchè la crosta terrestre è ricca di minerali di ferro, che appunto danno origine alla tipica colorazione.

Ah giusto, Marte ha pensato che visto che era più piccolo, voleva compensare il suo complesso di inferiorità verso la Terra avendo più satelliti naturali. Ne ha infatti due, grossi più o meno come una patata, e dalla medesima forma, dal nome altisonante, che non rispecchia però l’importanza di questi due sassi, Phobos e Deimos (paura e terrore).

L’umanità conosce questo pianeta da un sacco di tempo. I primi cenni alla sua presenza risalgono addirittura ai babilonesi, si quelli dei giardini pensili. Evidentemente oltre al pollice verde avevano anche il vizietto dell’astronomia. Studi su Marte ci provengono anche da Aristotele, ma ovviamente i mezzi all’epoca erano quelli che erano. Il primo uomo ad osservare il pianeta con un qualche ausilio tecnico è stato ovviamente Galileo con il suo cannocchiale, nel 1609.

Dobbiamo aspettare ancora più di duecento anni per un’osservazione più precisa, fatta sempre da un italiano, Giovanni Schiaparelli nel 1877 (tra l’altro, uno dei crateri maggiori di Marte, prende il nome da lui). L’astronomo italiano fu anche il primo a descrivere quelli che lui chiamava “canali”, ossia delle strie sulla superficie di Marte, attribuibili secondo lui a dei corsi d’acqua, che però si rivelarono successivamente solo aberrazioni e illusioni ottiche. La storia dei canali su Marte tuttavia diede impulso ovviamente a tutta una serie di ipotesi negli anni successivi, sulla presenza di acqua liquida e quindi potenzialmente di vita sul cugino della Terra.

Per quanto riguarda l’esplorazione del pianeta rosso, beh, è una storia costellata di grandi fallimenti e grandi successi. I primi lanci verso Marte furono effettuati nei primi anni ’60, da parte dell’Unione Sovietica, probabilmente per una affinità cromatica tra il pianeta e la loro bandiera. Cioè, io mi metto nei panni del buon Nikita a Mosca. L’idea di raggiungere il pianeta più rosso del sistema solare e piantarci una bandiera con falce e martello sopra sarà stata così succulenta da fiondarcisi di getto. E’ comprensibile.

Purtroppo per lui però le prime missioni (Marsnik 1 e 2, Sputnik 22, Mars 1 e Sputnik 24) furono dei giganteschi flop, non raggiungendo neanche l’orbita terrestre o guastandosi in viaggio.

Gli USA ci provarono con il Mariner 3 nel ’64, ma lo scudo protettivo non si aprì e quindi… ehi! Soldi dei contribuenti buttati nel gabinetto!

La bandiera a stelle e strisce però riuscì a trionfare alla fine del ’64 quando Mariner 4 riuscì a fare un flyby (un passaggio veloce, in buona sostanza) ed inviare ben 21 foto!

La prima immagine di Marte inviata da Mariner 4 – Dai, erano gli anni 60, non fate i fenomeni con il vostro iphone 14 pro

Dopo i primi flyby le due superpotenze cercarono anche di inviare dei lander (ossia delle sonde in grado di atterrare ammartare, così da raccogliere ed analizzare magari campioni di suolo. Tecnicamente, alcuni lander arrivarono pure sulla superficie, tipo il sovietico Mars 3, ma si persero le comunicazioni e quindi niente dati.

La vera svolta dell’esplorazione di Marte arrivò nel 1975 con le sonde Viking 1 e 2 della NASA. Erano composte da un orbiter (ossia una parte orbitante intorno al pianeta) ed un lander in grado di ammartare. Nei mesi di operatività delle sonde inviarono più di 100mila foto del pianeta, contribuendo in maniera significativa alla conoscenza di quella rossa roccia.

Sopra, il lander Viking, sotto una bella panoramica dalla prospettiva della sonda

Si ma, come si alimentavano queste sonde? Beh inizialmente i ben noti pannelli solari non avevano proprio una grande diffusione in queste sonde. Si preferiva usare gli RTG, ossia generatori termoelettrici a radioisotopi. Sostanzialmente una palla di plutonio che emettendo calore per via del decadimento radioattivo generava tramite un convertitore per effetto Seebeck una corrente elettrica sufficiente ad alimentare i sistemi della sonda. Carino no?

Comunque le sonde Vikings non è che si occuparono solo di fare foto per la pagina Instagram della NASA. A bordo avevano altri strumenti scientifici, come un sismografo, gascromatografi e spettrometri di massa, per cercare nel terreno le molecole indicatrici di una possibile presenza della vita sul pianeta. Non ne trovarono, ma anche perchè effettivamente forse non era così furbo trattare campioni a 300 °C per cercare molecole organiche (vena volutamente polemica).

Ma facciamo un passo avanti, perchè un’altra pietra miliare nella storia dell’esplorazione di Marte è data dalla missione “Mars Pathfinder” della NASA nel 1996. E’ stata infatti la prima missione con un Rover sul pianeta rosso. Il carinissimo Robot era in grado di muoversi quindi fuori dal perimetro di ammartaggio della sonda, così da poter esplorare aree più vaste di terreno marziano.

Si lo avete visto in “The Martian” con Matt Damon, è proprio lui

La storia dei Rover su Marte, dopo Pathfinder è costellata di cugini decisamente illustri. Sonde che hanno macinato Km e Km sotto le loro ruote dentate, ed hanno viaggiato sulla superficie del pianeta per anni interi. Autentici capolavori come Spirit e Opportunity, progettati per durare 90 giorni ed invece operativi per rispettivamente 7 e 14 anni (ostinati eh?).

Ah giusto, con i rover è iniziata anche l’era dei pannelli solari, che ricaricavano le batterie delle sonde. Un po’ limitante forse ma comunque fornivano più corrente elettrica ed erano più sicuri rispetto ad un bombolotto radioattivo durante il lancio. Nota un po’ malinconica, quando Opportunity smise di funzionare per sopraggiunto limite operativo, non riuscendo più a ricaricare le batterie (vuoi per sporcizia sui pannelli, vuoi per esposizione non felice al Sole, vuoi perchè non ce la faceva più) il messaggio ricevuto dalla sonda fu “My battery is low and it’s getting dark”. E niente, colpo al cuore. Povero Oppy.

Nel 2011 venne lanciato Curiosity, un altro rover specializzato nell’analisi delle rocce e nell’esplorazione della superficie. Dotato di un gran numero di strumenti è ancora operativo. E sapete una cosa? Ogni anno, per il suo “compleanno” gli strumenti di bordo suonano la canzoncina “happy birthday”. Un po’ solitaria come festa di compleanno ma ok.

Ah raga, per cortesia. Ok Pathfinder era piccolo più o meno come una macchinina radiocomandata (oddio un po’ più grossina). Ma smettetela di immaginarvi le sonde come delle paperelle robot che passeggiano per Marte. Quelle recenti sono fottutamente grandi! Curiosity per intenderci ha delle dimensioni paragonabili ad un’automobile. Non mi credete? E va bene, l’avete voluto voi. Guardate sotto.

Ma sapete che l’anno scorso c’è stato il primo volo di un velivolo su Marte? Il nuovo rover Perseverance ha portato con se un drone, Ingenuity, che ha effettuato numerosi piccoli voli, aprendo quindi una nuova strada dell’esplorazione di Marte. Ricordatevi che l’atmosfera è rarefatta, quindi la portanza generata dalle pale in fase di decollo non è così scontata. C’è un motivo se gli elicotteri viaggiano a quote molto più basse rispetto agli aerei no?

Si ok tutto molto bello. Abbiamo mandato dei robottini su Marte, ma noi quando ci andremo?

Eh voi mi fate questa domanda, ma la risposta non è molto semplice. Per un viaggio con equipaggio umano verso il pianeta rosso vanno risolti un sacco di problemi. Considerate che il viaggio dura svariati mesi (6-9) a seconda della posizione reciproca di Terra e Marte. Eh no cari, mica sono sempre alla stessa distanza! Avendo orbite differenti e velocità differenti, esistono specifiche finestre temporali nelle quali puoi lanciare un razzo verso Marte, senza che ci metta una vita per arrivarci. Oltre a questo, l’equipaggio verrebbe comunque esposto ad assenza di gravità e di seguito ad una gravita ridotta per un periodo molto lungo, con effetti deleteri per il fisico (indebolimento osseo, per esempio o problemi alla vista). In più, c’è sempre la questione delle radiazioni cosmiche. Un escamotage che si sta studiando è quello di creare vettori spaziali dotate di aree in cui viene simulata la gravità tramite rotazione, così da alleggerire lo stress fisico da assenza di gravità (lo avete visto Interstellar no?).

Una volta risolti i problemi del viaggio, beh ci sono quelli legati alla permanenza. Tutto ciò che serve, occupa spazio, peso, quindi carburante necessario al lancio. In caso di una permanenza breve, si può anche pensare di portarsi le provviste da casa, ma in caso di una permanenza stabile e lunga si deve trovare il modo di creare un autosostentamento della “colonia”. Si stanno studiando metodi per la coltivazione di vegetali in loco, sfruttando le colture idroponiche, quindi niente bistecche alla fiorentina, mi spiace. Certo è che il problema principale è l’acqua. Non possiamo portarla tutta dalla Terra, quindi l’ideale sarebbe trovare qualche fonte di acqua ghiacciata (ne esistono nelle regioni polari e si suppone in alcune zone del sottosuolo, tipo crepacci e grotte) da sfruttare sia per la generazione di idrogeno ed ossigeno (elettrolisi) utili per il fabbisogno energetico, sia per il sostentamento della vita.

Come dovrebbe apparire una futura colonia su Marte. Serre, colture idroponiche, moduli abitativi e di produzione, pannelli solari e spazioporti per il ritorno in orbita

Ok facciamo che abbiamo risolto anche il problema del cibo. Ma le apparecchiature? Beh, sicuramente una buona parte, se non la gran parte, dovrebbe essere inviata dalla Terra tramite magari vettori automatizzati. Ma si stanno anche progettando sistemi in grado di replicare oggetti per la vita di tutti i giorni partendo da materie prime che si possono trovare in loco o portate dalla Terra. E’ il caso per esempio di stampanti 3D che utilizzano il carbonio come materia prima, oppure il suolo marziano per la costruzione di infrastrutture. Certo è che la strada è ancora lunga.

Le tempistiche ci dicono che la NASA si è prefissata una missione umana su Marte tra il 2030 ed il 2040. E’ anche vero che la comparsa di nuovi soggetti dell’esplorazione spaziale (SpaceX su tutti) ha anche accelerato il processo. Starship di Elon Musk è una tecnologia che si appresta a diventare realtà ed è direttamente concorrenziale al progetto Artemis della NASA. Per inciso, a differenza del progetto Artemis, i vettori di SpaceX sono riutilizzabili in toto, rendendo comunque il costo delle missioni private forse più competitivo rispetto a quelle pubbliche.

E’ anche in ballo la costruzione da parte di ESA, NASA, Roscomos e JAXA del Lunar Gateway, una stazione spaziale in orbita lunare, che dovrebbe essere il punto di attracco del Deep Space Transport, ossia un vettore internazionale destinato all’esplorazione dello spazio profondo, Marte in primis. Data del progetto? 2024, quindi più o meno siamo a tiro no?

E per la parte futuro lontano e voli pindarici? Beh la colonizzazione di Marte su larga scala è sempre stato un sogno nel cassetto dell’umanità. Sappiamo benissimo, che il pianeta così come è non è adatto alla vita umana, quindi sfociando un po’ nella fantascienza dovremmo parlare di un processo di terraformazione di Marte.

Questo processo, che durerebbe secoli, anzi, centinaia di secoli, consisterebbe nel liberare grandi quantità di anidride carbonica ed altri gas serra nell’atmosfera, così da riscaldarlo e provocare di conseguenza lo scioglimento dell’acqua presente come ghiaccio. Per liberare così tanta anidride carbonica si è ipotizzato di far detonare ordigni nucleari a basso potenziale nelle calotte polari formate anche da ghiaccio di anidride carbonica, così da farlo sublimare. Una volta ottenuta un’atmosfera più densa, si dovrebbero piantare vegetali o comunque fornire organismi fotosintetici al pianeta, così da smaltire l’eccesso di anidride carbonica e fornire ossigeno al pianeta. Un altro problema da risolvere è sempre quello del campo magnetico debole, ma per questo si è ipotizzato il posizionamento di uno scudo magnetico nel punto di Lagrange L1 (un punto in cui la forza di attrazione del pianeta e del Sole si equilibrano, rendendo la posizione di un oggetto stabile, lo stesso concetto usato per posizionare il telescopio James Webb) di Marte, così da fornire un ombrello contro raggi cosmici e vento solare al pianeta.

Beh, qui stiamo comunque facendo ipotesi molto più lontane e difficili da prevedere, meglio rimanere con i piedi per….Marte.

Spero che la carrellata sul pianeta rosso vi sia piaciuta. Alla prossima puntata!

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