La Corazzata Roma

Per la rubrica “Italiani, popolo di Santi, poeti e navigatori”, oggi parleremo di uno dei gioielli della Regia Marina, durante la seconda guerra mondiale, la corazzata classe Littorio “Roma”.

Personalmente trovo questo ferro, un capolavoro dell’ingegneria navale dell’epoca, in barba a quanti (senza essere debitamente informati) pensano che durante la WW2 l’Italia andasse in giro con dei gommoni o delle bagnarole. No, la nostra Regia Marina era oggettivamente di alto livello, sebbene nascondesse in seno un sacco di problemi prevalentemente organizzativi e di scarsa lungimiranza a livello delle alte gerarchie. Solo per citarne alcuni, la mancanza dei radar a bordo delle navi (sebbene ad esempio la Roma avesse uno strumento simile anche se embrionale, il Gufo… no non letteralmente un gufo, si chiamava semplicemente così), la scellerata decisione non costruire portaerei, affidandosi alla filosofia che “l’Italia è una portaerei naturale sul Mediterraneo” e la scarsa collaborazione tra Regia Marina e Regia Aeronautica, frutto di litigi e gelosie prevalentemente legate alla fornitura di eventuali mezzi all’aviazione navale.

Ma torniamo al nostro gioiellino. La corazzata Roma non era l’unico esemplare della sua classe, anzi, aveva due gemelle, il Littorio appunto (come capoclasse) ed il Vittorio Veneto. Il Littorio cambierà nome dopo l’8 settembre del 1943, prendendo il nome di Italia. Italia e Vittorio Veneto verranno internate ai Laghi Amari, dei bacini lungo il canale di Suez, per lo scetticismo degli alleati sull’usarle in mano alla marina co-belligerante e l’impossibilità di impiegarle negli altri teatri di guerra (come ad esempio il pacifico).

Le tre sorelle non erano completamente uguali, alla Regia Marina difficilmente piaceva fare dei cloni esatti. Spesso da un esemplare all’altro, si installavano miglioramenti, soprattutto in seguito alle prove in mare.

Le Littorio non erano da meno, infatti come potete vedere dall’immagine qui sopra, tra la Littorio e la Roma, i cari progettisti decisero addirittura di cambiare l’inclinazione della prua, rendendola più affusolata, la rimozione di un’ancora e l’aggiunta sul torrione centrale di tutto il complicato sistema di antenne per il Gufo.

Ma non erano solo queste piccolezze a rendere la Roma una nave coi controfiocchi. Per darvi un po’ di numeri, riguardo l’imponenza di questo guscio di noce, aveva un dislocamento di 46215 tonnellate a pieno carico (più o meno come una famiglia dopo il pranzo di Natale dalla nonna palermitana), era lunga 240 metri e spicci, larga quasi 33 ed aveva un pescaggio di 10,5.

La propulsione era affidata a 8 caldaie a vapore che facevano muovere 4 eliche, con una potenza complessiva di 130000 cavalli (160000 per brevi periodi, sovralimentando il sistema… occhio che esplode!). Ben tre timoni si occupavano della direzione e la velocità di punta era di 31 nodi (per una corazzata, un valore di tutto rispetto). Beh, ma non era finita mica qui, un conto è muoversi un conto è combattere. La leggiadra nave, aveva 9 cannoni da 381/50 divisi in tre torri trinate, una a poppa e due a prua, 12 cannoni da 152/55 in 4 torri trinate sui lati delle torri maggiori (2 a prua 2 a poppa).

Ma ancora, 4 cannoni da 120/40 mm per il tiro illuminante, 12 cannoni antiaerei da 90/50 mm in 12 torri singole per proteggere le strutture centrali dagli attacchi aerei, 16 mitragliere antiaeree da 37/54 mm in 8 stazioni binate. 4 mitragliere antiaeree dello stesso tipo di prima in stazioni singole, ed infine (eebbbaaaaaaaasta…quanta roba) 28 mitragliere antiaeree da 20/65 mm in 14 stazioni binate. Piccola nota a margine, il sistema di puntamento e tiro delle Littorio fu realizzato partendo dalle idee dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, allora gran pezzo grosso della Regia Marina. Insomma, uno che si sporcava le mani.

Praticamente la potenza di fuoco che vorrei sulla mia auto quando mi trovo bloccato nel traffico, per farmi strada con delicatezza.

E voi mi direte “si, ok tante belle armi, ma se poi era fatta di carta pesta…” eh no cari miei, perchè la nave era ben corazzata, con piastroni da 350 mm di spessore nei punti critici, 280 nelle artiglierie secondarie, 260 nel torrione di comando e 160 nella rimanente porzione di nave. Tutto acciaio autarchico, garantito.

La particolarità però non era tanto lo spessore delle corazze. Per rendere la nave più protetta, si penso a non estendere fino all’eccesso lo spessore delle piastre (per intenderci, la corazzata Yamato, mostro sacro della marineria, aveva punti corazzati con spessore fino a 690 mm, ed infatti per affondarla ci son voluti qualcosa come 13 siluri ed una ventina di colpi diretti di cannoni navali pesanti, oltre ad un discreto numero di confetti dall’alto) bensì, a trovare un escamotage per disperdere la forza di eventuali colpi sotto la cintura (Rocky approva).

Il buon Generale del genio navale Umberto Pugliese infatti, inventò dei cilindri che da lui presero il nome. Praticamente questi bussolotti correvano lungo circa la metà della nave, tra la murata esterna e lo scafo interno, con un diametro di circa 3,80 metri nei punti più larghi ed erano riempiti o di nafta (la benzina per questi bestioni) oppure di acqua quando il carburante saliva troppo di prezzo si andava esaurendo. Sappiamo che i liquidi non sono comprimibili per definizione, quindi in caso di esplosione, i cilindri assorbivano l’urto, distribuendo la forza tramite il liquido, limitando i danni alle strutture interne e preservando quindi la nave da danni ben più seri. Belin come siamo geniali noi italiani quando c’è da trovare gabole per risparmiare sui materiali da costruzione.

Ah quasi dimenticavo, a bordo aveva anche 3 catapulte per il lancio di aerei da ricognizione, sia mai che si facessero mancare niente.

Si ma, dentro come si stava? Siamo abituati a pensare, per via dei film (che in realtà prendono in considerazione molto poco le navi italiane) sulla seconda guerra mondiale, che le navi a quel tempo fossero dotate di interni spartani, scomodi, soprattutto se paragonate ai grandi vascelli transatlantici di lusso tipo quelli che avevano il vizietto di andare a sbattere contro i cubetti di ghiaccio (vero Titanic? Ah per inciso, Rose, sei una stronza, Leo ci stava su quella zattera).

Beh diciamo che le Littorio erano proprio un caso particolare. Aveva degli interni davvero di “lusso” se paragonati ad altri vascelli. Aveva ampie sale dove l’equipaggio poteva consumare pasti, o quadrati sottufficiali e ufficiali di un livello tale da far impallidire la stragrande maggioranza dei traghetti odierni dove la gente si ammassa per andare in vacanza. Esistevano anche sale “ricreative” dove l’equipaggio poteva passare il tempo quando non in servizio, qualcosa di assurdo per l’epoca.

Davvero, ho visto interni peggiori sui traghetti nello Stretto di Messina eh

A livello operativo, il Roma non ebbe una vita bellica particolarmente intensa. Si può dire, con il dovuto rispetto, che passo quasi tutta la sua esistenza a spostarsi da un luogo all’altro, nell’intenzione di preservarla. Non che gli alleati non provarono ad affondarla, anzi, ci provarono a Taranto, a Napoli ed alla Spezia. Miracolosamente non riportò mai danni ingenti, anzi fu più fortunata di molte altre navi della Regia Marina. Ma evidentemente le vite da gatto, se le giocò tutte dal varo del 1940 in poi, perchè finirono con l’armistizio dell’8 settembre 1943 (e pensare che entrò in servizio solo nel 1942, una vita operativa davvero breve). Nelle ore in cui il Re fuggiva verso Brindisi e gli alti papaveri dei comandi militari italiani erano più o meno allo sbando, l’Ammiraglio Bergamini (uomo tutto d’un pezzo) minacciò SUPERMARINA (lo Stato Maggiore della Regia Marina) e l’Ammiraglio De Courten di affondare l’intera flotta, vista la mancanza di informazioni e per impedire che il naviglio finisse nelle mani sbagliate. Con la promessa che avrebbe raggiunto il Re alla Maddalena (seh, bona…), Bergamini partì con la flotta da La Spezia verso le acque della Sardegna alle 23.45 dello stesso giorno, insieme alle gemelle Italia e Vittorio Veneto, oltre ad un nutrito numero di altre navi (Montecuccoli, Eugenio di Savoia, Attilio Regolo, Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere, Velite, Legionario, Oriani, Artigliere, Grecale, Pegaso, Orsa, Orione ed Impetuoso). Visto che insieme ci si diverte sempre di più, la flotta si ricongiunse con il naviglio proveniente da Genova, formato dal Garibaldi, il Duca d’Aosta, ed il Duca degli Abruzzi. Tutti insieme appassionatamente, virarono a Sud, verso le Bocche di Bonifacio.

Inutile dire che i tedeschi non è che la presero tanto bene, infatti non volevano di certo ritrovarsi contro mezza flotta italiana, in un momento in cui le cose non andavano propriamente per il verso giusto. Quindi, fecero decollare i bombardieri, per intercettare e distruggere il naviglio nostrano.

La flotta in fuga, riuscì ad evitare gli attacchi della Luftwaffe per ore, fino al pomeriggio del giorno 9 settembre, quando un Dornier Do217K pensò bene che era il caso di porre fine alla breve vita della corazzata Roma.

La protagonista del nostro post ha infatti il triste primato di essere stata la prima nave affondata da una bomba del tipo Ruhrstahl SD 1400, un nuovo tipo di bomba che aveva la particolarità di poter essere radioguidata dall’aereo che la lanciava ad alta quota (tipicamente 5000 metri), così da migliorare il tiro e massimizzare l’effetto devastante della bomba stessa.

Dopo due tentativi, il terzo colpo raggiunse la parte tra la seconda torre trinata ed il torrione comando, andando penetrare lo scafo fino al deposito munizioni sottostante. L’esplosione a catena fu talmente dirompente, che la torre trinata stessa venne letteralmente disancorata dalla nave e scagliata in aria a svariati metri di altezza, per poi ricadere in acqua. Il calore deformò le strutture e buona parte dell’equipaggio (Ammiraglio Bergamini compreso) morì istantaneamente.

L’impressionante fungo derivante dall’esplosione del Roma

In totale morirono 1352 membri dell’equipaggio, solo 622 riuscirono a salvarsi, di cui molti ustionati o feriti in modo grave e raccolti dalle altre navi superstiti.

Il relitto, attualmente si trova a 400 metri di profondità, ritrovato da una spedizione oceanografica del 2011.

E le altre due Littorio? Beh, come dicevo prima vennero internate ai Laghi Amari e vi rimasero fino alla fine della guerra. Il governo riuscì a non cederle agli alleati come tributo di guerra, ma una di esse, l’ex Littorio, ora Italia, subì l’onta del taglio dei cannoni.

Tornate in patria, vennero smantellate, per riutilizzarne l’acciaio. Davvero una triste fine per delle navi così moderne per l’epoca.

All’Ammiraglio Bergamini, la Marina Militare Italiana ha intitolato la nuova classe di Fregate Multi Missione (FREMM), di cui appunto la Carlo Bergamini è la capoclasse.

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