British Museum, beni culturali e peluche di Dea ippopotamo – Intervista alla Dott.ssa Giulia Moretti

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Salve a tutti miei cari pinguini di Madagascar.

Oggi, non sarò solo ad allietare i vostri occhietti speranzosi, ma sarò in ottima compagnia, con una cara amica, che ci aiuterà a scoprire un mondo, quello dei beni culturali, un po’ troppo spesso sottovalutato in un paese come il nostro.

EAS: Intanto ospite illustre di questa puntata sul blog è la Dottoressa Giulia Moretti. Allora, Giulia, puoi presentarti, raccontarci chi sei, cosa mangi, cosa respiri e il codice del tuo conto in banca?

GM: Dr Roberts buongiorno! innanzitutto grazie per avermi invitato qui, sembra un posto carino!
La domanda “chi sono” nel mio caso prende le accezioni più disparate, in quanto figure come la mia sono un po’ i Balto della ricerca, sospesi tra scienza e arte.
Io sono quella che in ambito internazionale si definisce come heritage scientist o conservation scientist, la traduzione italiana che più si avvicina è scienziato dei beni culturali, ma viene declinata nelle maniere più disparate.
La risposta alle altre domande è in successione: troppo – mai abbastanza – e no, tanto è vuoto. XD

Il sottoscritto e la Dott.ssa Moretti in una foto di repertorio mentre parlano delle loro disavventure da scienziati multidisciplinari

EAS: Dottoressa, mi pare quindi che lei faccia parte di quella categoria di professionisti descritti dalla mirabolante frase “Lei è troppo qualificat* per questo lavoro”. Bene, un ottimo inizio! Allora, mi dica, in quanto scienziato dei beni culturali, mi potrebbe raccontare un poco il suo percorso formativo e le esperienze lavorative che ha affrontato venendo da un paese come l’Italia, dove per definizione “con la cultura nun se magna”?

GM: Nel caso degli scienziati dei beni culturali, il problema è più che altro che quello che sappiamo fare difficilmente riesce a essere trasferito a ambiti lavorativi diversi da quello accademico, non per mancanza di competenze ma per mancanza di riconoscimento delle nostre figure.
Il mio è stato un percorso un po’ atipico, o almeno lo è stato al tempo. Nel 2010 ho conseguito la laurea triennale in Tecnologie e Conservazione dei Beni Culturali all’università Carlo Bo di Urbino, un’interfacoltà tra Scienze dei Beni Culturali e Scienze Matematiche, Fisiche e Chimiche focalizzata sul restauro, con docenti provenienti dall’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma. Lo scopo di questo corso, inizialmente della durata prevista di 3+2, era di formare nuovi professionisti con un approccio scientifico e critico al restauro. Verso la fine dei 3 anni però, a causa di alcune riforme mirate all’accreditamento del corso per la formazione di restauratori riconosciuti dal ministero della Cultura, io ed i miei colleghi siamo stati messi di fronte alla scelta di laurearci subito alla triennale oppure migrare al nuovo ordinamento quinquennale. Questa migrazione significava altri 4 anni di corso prima della laurea /esame abilitante alla professione di restauratore. Per questo motivo io e pochi altri abbiamo deciso di laurearci e passare allo step successivo, che nel mio caso è stato la laurea magistrale in Science for Conservation-Restoration of Cultural Heritage (LM11), corso internazionale in lingua inglese dell’Università di Bologna piu’ incentrato sui metodi analitici e diagnostici per i Beni Culturali.

EAS: Quindi mi sta dicendo che Urbino esiste davvero e non è un luogo mitico il cui nome si impara esclusivamente alle elementari? Sconvolgente.
Ad ogni modo, scherzi a parte, un’esperienza al Louvre da giovanissima, deve essere stata davvero incredibile, ce ne vuole parlare?

GM: Sai quale è stato uno degli obiettivi, che al tempo somigliava più a un sogno, che mi sono prefissata all’inizio dell’università? Che un giorno avrei lavorato in un museo importante come il British o il Louvre, magari anche con un acceleratore di particelle. Qualche anno dopo, TAC! Vinco la borsa di studio per la tesi sperimentale al Louvre, presso il C2RMF. Non immagini la sensazione inebriante appena ho varcato le porte. Poco dopo mi hanno messo a lavorare su un progetto che includeva lo studio dei film pittorici di Van Gogh, per la precisione quelli contenenti bianco di piombo e zinco.

EAS: Mi sembra che il suo percorso universitario sia iniziato già col botto, a dimostrazione della “scarsa attenzione” che viene data alla tematica da parte delle nostre istituzioni. Ma non siamo qui a far polemiche. E dopo la laurea? So che ha conseguito il dottorato nella terra del cioccolato e dell’orologeria, o sbaglio?

GM: Confermo! Ho finito tutti gli esami della laurea magistrale, trascorso 6 mesi a Parigi per la tesi, e mi sono trasferita a Berna, Svizzera.

EAS: Una giramondo! Come giudicherebbe la sua esperienza svizzera e la diversità tra le differenti culture, almeno per quanto riguarda l’approccio ai beni culturali?

GM: E non mi sono ancora fermata!
Diciamo che la mia esperienza in Svizzera non è stata delle più facili, sia dal punto di vista sociale che lavorativo. Gli svizzeri non sono espansivi come altri nostri vicini di casa e crearsi un proprio gruppo ha richiesto del tempo (e alla fine eravamo quasi tutti stranieri, principalmente italiani!).
Poi, facendo il dottorato presso il dipartimento di Chimica, seppure in collaborazione con l’università di arti applicate di Berna, la mia ricerca verteva principalmente su chimica fondamentale, e quindi ho dovuto riprendere ed approfondire molti argomenti di studio all’ordine del giorno in una facoltà di chimica ma che sono toccati in maniera piu’ generale in una di conservazione e restauro.
Precisiamo che comunque moltissimi esami (e parecchi crediti) dati all’università erano di chimica, ma essendo facoltà interdisciplinari ovviamente molti moduli erano dedicati a fisica, biologia, metodi diagnostici, geologia (soprattutto durante la magistrale) o restauro e storia dell’arte (triennale).

In Svizzera, seppure il concetto di Heritage Scientist esista, raramente esiste al di fuori delle università e degli enti di ricerca, e anche una volta finito il dottorato, cercando lavoro, non era raro imbattersi in annunci da parte di musei o istituzioni simili in cerca di questa figura ma che richiedevano lauree in restauro o storia dell’arte per il lavoro.

EAS: Insomma, altre difficoltà per una persona appassionata come lei, però le fa onore sicuramente essersi cimentata con una materia ostica come la chimica (e parlo a ragion veduta oh oh oh). E dopo la Svizzera, se non ricordo male, una parentesi fiorentina, prima dell’approdo in terra d’Albione. Una chicca.. il British Museum, giusto?

GM: Esatto. Terminato il mio soggiorno svizzero, ho trascorso quasi 3 anni presso il dipartimento di chimica dell’Università di Firenze come post-doc, stavolta nell’ambito dello sviluppo di nuovi materiali per il restauro. E poi dritto per dritto verso Londinium, destinazione British Museum, al primo posto nella mia wishlist di luoghi in cui avrei voluto lavorare sin dai tempi dell’università (il Louvre l’ho già depennato qualche anno fa).

EAS: Quindi possiamo dire che la sua preparazione è totalmente multidisciplinare, rendendo il suo curriculum ampio, valore aggiunto ad una preparazione in ambito “heritage”, facciamo un po’ di pubblicità che non fa mai male.. in fondo è l’anima del commercio!

GM: Diciamo che è proprio quello il nostro punto di forza, e allo stesso tempo anche una debolezza quando cerchiamo di uscire dall’ambito accademico e riconvertirci nel privato.

EAS: Potremmo stare a parlare del problema dell’interdisciplinarità una volta sbarcati nel mondo del lavoro per ore. Siamo entrambi vittime del sistema. Lo sappiamo. Solidarietà sister.
Ecco ecco, parliamo del British. Fondato nel 1753 con una legge del buon Giorgio II, l’ultimo sovrano inglese con sufficienti attributi da portare personalmente le truppe in battaglia. Ci può dire esattamente di cosa si occupa in questo pezzo da 90 dei musei mondiali?

GM: Un pezzo da 90 con tanti pezzi da 90, per citarne alcuni: la stele di Rosetta, i fregi del Partenone…

EAS: Vogliamo dimenticare il busto di quel simpaticone di Ramses II? Ha flexato i pettorali il ragazzo. Oppure il vaso Portland, di epoca romana, bellissimo

Si ma stai calmo Zì

GM: C’è un sacco di roba, se ancora non lo avete fatto venite a visitarlo!

EAS: Spot sicuramente migliore di quello di Rutelli di qualche anno fa, con il suo indimenticabile “Plis visit auar cauntri”

Il precursore dello SHISH!

GM: E poi è gratis qui, tutti i musei lo sono!
Tornando a noi, in questo anno al British Museum mi sono occupata principalmente di analizzare residui su ceramiche archeologiche (parliamo di Neolitico e Mesolitico) provenienti dal Nord Est Europa per capire quale dieta seguivano i nostri antenati prima di darsi all’agricoltura. Si tratta del progetto INDUCE dell’European Research Council, che va avanti da quasi 6 anni. Ho avuto anche la fortuna di lavorare con alcuni oggetti delle collezioni che richiedevano analisi di vario tipo. Non ti dico l’emozione quando ho avuto la possibilita’ di metterci le mani!

EAS: Gratis, che parola celestiale per un genovese. Sublime suono per le orecchie, armonia per gli occhi mentre la leggo.
Accipicchia, quindi potremmo dire quasi un lavoro da archeologia forense, un po’ in stile indiana jones. Interessante! E che tipo di analisi, ad esempio, avete eseguito su questi reperti?

GM: Beh si, ci si avvicina parecchio, sebbene senza il brivido, almeno nel mio caso, di infilarsi in qualche tomba o rotolarsi nella terra.
L’approccio analitico prevede diverse tecniche, dalla gas-cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa, all’analisi degli isotopi, dalla datazione al radiocarbonio alla microscopia elettronica e digitale.

EAS: Beh un bel po’ di carne al fuoco.. Ma per i non addetti, proviamo a fare un po’ di luce su queste tecniche. Gas Cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa è una tecnica che consente di analizzare le diverse molecole presenti in un campione, sfruttandone la diversa dimensione per separarle “nel tempo” e poi spezzarle in vari frammenti per identificarle. L’analisi degli isotopi è utile ad esempio quando si vuole effettuare un riconoscimento “geografico” di qualcosa. La percentuale di isotopi di un dato elemento è spesso caratteristica della provenienza di un dato oggetto. Per intenderci, se una X percentuale di un isotopo nell’elemento Y si trova in Messico e ritroviamo un manufatto con quella percentuale in Spagna, beh è molto probabile che quel manufatto sia frutto di uno dei saccheggi di Cortez. La datazione al radiocarbonio sfrutta il fatto che conosciamo così bene il tempo di decadimento dell’isotopo 14C che questo ci permette di capire quanto è antico un determinato campione. Riguardo la microscopia elettronica e digitale, beh… avete presente una lente di ingrandimento potentissima? Ecco, è riduttivo ma de facto….
E quindi, dopo tutte queste analisi comunque di alto livello tecnologico, avete già raggiunto qualche risultato interessante? Un qualche piccolo spoiler?

GM: Siamo ora in quale fase terribile della fine del progetto in cui stiamo scrivendo articoli, quindi a breve ne saprete sicuramente di più. Per ora posso dirti che sembrerebbe che i nostri antenati abbiamo cominciato ad allevare ovini e bovini per ottenere latte e derivati molto prima di quanto si pensasse.

EAS: Quindi lo sviluppo dell’intolleranza al lattosio è colpa loro? Se io non posso bere una tazza di latte freddo senza dover scappare sul trono di porcellana è per colpa delle popolazioni del Nord Est europeo? Adesso so chi devo insultare.

GM: Ehm non sono del tutto sicura XD

EAS: Ad ogni modo, il lavoro è sicuramente interessante, ma a livello di emozioni, che aria si respira all’interno di una istituzione come il British Museum? Si percepisce di far parte di qualcosa di veramente importante a livello mondiale? C’è un gruppo coeso? Immagino sia comunque multiculturale e con esperti provenienti un po’ da ogni parte del pianeta..

GM: Consideri che il museo può contare su tantissimi dipartimenti diversi: c’è il nostro, Scientific Research, c’è quello di conservazione, ci sono i curatori per ogni collezione, archivisti, IT, comunicazioni, eventi, management, sicurezza, amministrazione, è una macchina molto ben oliata, e credo che la vera differenza sia lì. Ovviamente si parla di ambienti multiculturali, parliamo pur sempre di Londra, e questa diversità costituisce un grosso punto di forza per il museo specialmente per quanto riguarda gli esperti delle varie collezioni. Per quanto riguarda Scientific Research, il team è molto coeso, abbiamo un capo fantastico e…il 50% è costituito da scienziati italiani. XD

EAS: Beh il 50% è una percentuale oggettivamente notevole. Ma in fondo il tema della fuga dei cervelli dall’Italia è qualcosa di perennemente attuale, ahimè.
Adesso una domanda un po’ scomoda. Quando si parla di British Museum salta sempre fuori la questione della reale proprietà delle opere d’arte. Molti reperti come sappiamo, sono stati presi non propriamente col consenso delle nazioni di origine. Prendiamo ad esempio le cariatidi del Partenone, la Grecia ne chiede la restituzione da tempo immemore. Pensi che l’istituzione BM stia prendendo in considerazione prima o poi una restituzione o faranno orecchie da mercante?

GM: In realtà ci sono già delle trattive in corso con la Grecia, almeno per quanto riguarda i fregi del Partenone, e un programma di restituzione ai paesi di origine di alcuni di quegli artefatti che vengono considerati Treasure.
Consideri anche che moltissimi grandi musei del mondo posseggono opere d’arte di simile provenienza, quindi quello che sarà deciso in questa sede potrebbe cambiare molto la forma mentis dietro al display e alla circolazione dei beni culturali
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EAS: Eviteremo quindi il “ridateci la Gioconda” verso i francesi, visto che è ormai cosa nota che il ritratto sia stato regolarmente venduto da Leonardo. Eviteremo quindi il “ridateci la Gioconda” verso i francesi, visto che è ormai cosa nota che il ritratto sia stato regolarmente venduto da Leonardo.

GM: E sembrerebbe che anche i fregi del Partenone siano stati acquisiti legalmente nel 1801 da Lord Elgin.

EAS: si potrebbe ribattere che all’epoca la grecia era sotto il controllo dell’impero ottomano… Ma sarebbe sottilizzare forse

GM: Non complichiamo la faccenda piu’ di quanto non lo sia gia’.

EAS: Eviterò anche di chiedere se al servizio Merch del British ci sono i plush di Taweret visti in MoonKnight, ma mi limiterò a chiedere… so che a breve inizierà una nuova avventura, ce ne vuole parlare?

GM: Purtroppo non li ho ancora visti, se dovessero comparire nello shop ne porto uno. u.u.
Eh si, fra poco si concludera’ ufficialmente il progetto sul quale sto lavorando qui al British Museum, e nel frattempo ho ricevuto un’offerta di lavoro dal CNR-SCITEC di Perugia per lavorare su un progetto di interesse nazionale (PRIN): SUPERSTAR Sustainable Preservation Strategies for Street Art.
(https://prin2020superstar.dcci.unipi.it/).

Lo voglio ç_ç

EAS: anche qui, piccolo spoiler? Cosa andrà a fare nello specifico? E, come mai questo tempismo? c’entra forse la fine di Don Matteo, visto che in sua presenza, l’Umbria aveva un tasso di criminalità superiore a quello di Caracas?

GM: Dopo aver abitato a Parigi e a Londra credo che sarebbe il problema minore quello!
Ma dai domini confinanti con la Northumbria alla Nord Umbria il passo e’ breve.
Nell’ambito di SUPERSTAR mi occupero’ dello sviluppo e dell’applicazione di metodi analitici non-invasivi innovativi per l’identificazione dei materiali, il monitoraggio dello stato di conservazione e degli effetti dei trattamenti su pezzi di street art.

EAS: Insomma, passare dalle ceramiche delle civiltà antiche alle bombolette spray di vernice per la street art. Il grande ventaglio dei beni culturali, a dispetto di chi dice che la street art sono solo imbratta-muri. Le auguriamo il meglio per questa nuova esperienza, siamo sicuri che raggiungerà ottimi risultati.

GM: Grazie mille! Non vedo l’ora di iniziare questo nuovo capitolo (un po’ meno di impacchettare tutto e prepararmi all’ennesimo trasloco internazionale).

Che dire, non posso fare altro che ringraziare la Dott.ssa Moretti per questa bella intervista, che spero vi sia piaciuta.

Alla prossima puntata!

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