Cari tutti, oggi parliamo di una pagina cupa nella storia dell’India.

Dovete sapere che tra gli anni 40 e 50 del secolo scorso, nel mondo si diffuse la dottrina della rivoluzione verde. Una roba in pieno stile americano, partita infatti dalla Rockefeller Foundation. Avete presente quel vizietto un po’ prerogativa della bandiera a stelle e strisce di voler imporre e spiegare al mondo come si vive? Credo l’abbiano un po’ ereditato dagli inglesi, in fondo, ne sono i diretti discendenti. Abbiamo sentito un sacco di volte baggianate del tipo “andiamo ad esportare la democrazia” quando in realtà semplicemente si voleva importare petrolio. Ma vabbè, non siamo qui per fare polemica, no?

Sta di fatto che questa “rivoluzione verde” prevedeva lo sviluppo e la diffusione di nuove tecnologie per le colture intensive (partendo ad esempio dal Messico, che viveva una grande crisi dal punto di vista dell’autosostentamento agricolo) in modo da risollevare il cosiddetto “terzo mondo” dalla fame, con buona pace di chi continuava a sostenere che è inutile dare qualcosa a popoli che magari hai sfruttato o malmenato fino a 10 minuti prima. Ma tant’è.

Utilizzando le nuove tecnologie in campo chimico e biotecnologico, si riuscirono a creare nuove sostanze in grado di debellare i parassiti e sementi più forti e con una crescita più rapida. Il Messico per esempio passò dall’essere importatore di frumento per non morire di fame negli anni 50, ad essere esportatore di un botto di tonnellate di frumento meno di dieci anni dopo. Un risultato non da poco, con una velocità disarmante, degna di Speedy Gonzales.

Il risultato del Messico fece scalpore, tanto è vero che la rivoluzione verde cambiò continente, approdando anche in asia, dove Indonesia e Vietnam, storicamente importatori di riso, divennero completamente autosufficienti. Sai, è un po’ difficile coltivare (parlo del Vietnam) se bruci intere porzioni di territorio con il Napalm. Ma magari mi sbaglierò io.

E poi? Eh e poi, toccò all’India. La Union Carbide, un colosso americano della chimica, già negli anni 30 aveva aperto una filiale in terra indiana, ma la vera svolta arrivò con l’invenzione del Sevin. Un antiparassitario per colture che non faceva male agli esseri umani ma eliminava solo le fastidiose infestazioni. Anche qui, un progresso notevole visto che fino a quel momento esisteva solo il DDT, con lo spiacevole effetto collaterale che oltre a debellare i parassiti, magari se usato male uccideva pure gli esseri umani (che a livello mondiale potremmo vedere come una infestazione.. quindi tecnicamente tutto corretto). Fantastico, quindi perchè non tentare di vendere il Sevin a milioni e milioni di agricoltori indiani, per aiutarli nell’impresa di non morire di fame? Eh ma non conviene mica portarglielo, meglio produrlo direttamente lì. E quindi dopo tre anni di progettazione di un impianto a Bhopal ecco che dal 1969, mentre la NASA andava sulla Luna, la Union Carbide iniziava la costruzione di una enorme fabbrica che doveva sopperire al fabbisogno di Sevin in India. Tre anni di progettazione direte voi? Eh beh, ci vuole tempo per limare e togliere un botto di sistemi di sicurezza (reputati standard negli USA, ma in India sapete, le leggi erano un po’ così…) che avevano il fastidioso difetto di far sforare il budget.

Ed è così che la grande produzione iniziò, mentre la UC ometteva di istruire adeguatamente ed informare le autorità, ma al contempo si comportava come i primi colonizzatori spagnoli nelle americhe, portando doni, specchietti e pietrine ai nativi. E così assumono muratori per la costruzione dell’impianto, assumono qualche neolaureato e diplomato per tenerli buoni in patria, regalano doni e dolcetti per le feste, qualche scuola, ospedale (che non si sa mai può sempre servire in una città da un milione di persone, soprattutto con una fabbrica piena di sostanze chimiche addosso). Ah, i nuovi colonizzatori.

Nel 1980 qualcuno taglia il fiocco rosso e la fabbrica venne attivata. E poco importa se nel frattempo la rivoluzione verde si è dimostrata una mezza porcata. Si perchè ok, avete aumentato le colture. Ma i danni collaterali non li avete contati? Terreni che si impoveriscono, falde acquifere che si abbassano a causa dell’eccessiva richiesta di acqua da parte delle nuove coltivazioni. No non importa, noi dobbiamo produrre e consumare. Ad ogni costo.

Si però, la fabbrica la UC l’ha pagata, quindi mettetevi nei loro panni. Devono rientrare dei costi. Così dopo solo tre anni, decidono di smontarne qualche pezzo e riciclarla altrove, lasciando a casa lavoratori indiani ed un rimasuglio di impianto a marcire. Dovete sapere però che negli USA,il Sevin veniva prodotto a ciclo continuo, senza lo stoccaggio degli intermedi di reazione. Sapete perchè? Perchè uno di questi è il MIC o isocianato di metile. Un gas che puzza di cavolo lesso, e fin qui voi direte “dai, c’è di peggio”.. Eh si, ma oltre alla puzza di cavolo lesso ha anche il difetto di bruciarti le vie aeree e farti crepare di una morte terribile in preda a spasmi ed edema polmonare.

Ed è così che mentre negli USA la UC si preoccupava di non far vomitare i polmoni ai cittadini dollaro-muniti, in India la problematica non era ritenuta così importante. Vi ricordate quei tagli alla sicurezza no? Beh in India la fabbrica immagazzinava MIC costantemente raffreddato a 4 °C per evitare di farlo evaporare, in grosse cisterne interrate. Per di più, veniva anche pompato azoto per tenere le cisterne pressurrizzate. Alla chiusura della fabbrica, diminuì anche la manutenzione degli impianti, venne spento il raffreddamento, la fiamma pilota nel camino per bruciare eventuali perdite e spente le trappole per la degradazione chimica del MIC eventualmente scappato dalle cisterne. Ah, quando se ne andarono quelli della UC, mica si son preoccupati di dirlo agli abitanti di Bhopal, che sotto la loro terra c’erano ancora tonnellate di MIC. Dai, stava male andarsene dicendo che lasciavano una bomba chimica.

Accurata ricostruzione grafica della Union Carbide che abbandona l’impianto di Bhopal

Ed allora che ne poteva sapere, il povero operaio di turno alla manutenzione, che mentre disincrostava le tubature, ne trovò una ostruita e decise che poteva essere una buona idea pompare acqua ad alta pressione per cercare di disostruirla? Che ne sapeva lui, che il MIC ha un pessimo rapporto con l’acqua un po’ come la Juve la Guardia di Finanza per lo scandalo plusvalenze e che se solo ne tocca una goccia, si scalda come quando il sottoscritto mangia il peperoncino?

L’ovvia conseguenza è che il MIC nelle cisterne, a contatto con l’acqua, salì di temperatura, espandendosi e rompendo le valvole delle condotte. Cercando una strada per uscire, andò verso i camini di sfiato, trovando la fiamma pilota spenta e quindi fuoriuscendo libero nell’atmosfera. Purtroppo però, un po’ per le condizioni meteo, un po’ per la natura stessa del gas, più denso dell’aria, la nube tossica discese verso l’agglomerato urbano. Non ci fu il tempo di diramare l’allarme. Quando le autorità capirono cosa era successo, era già troppo tardi. La stima più realistica parla di circa 21000 morti a Bhopal. Alcuni si riuscirono a salvare solo perchè trovarono rifugio su un colle dove la ventilazione spinse via la nube tossica. In più ci furono 500000 intossicati più o meno gravi. Ma il danno non si fermò a questo computo. Negli anni a seguire, molti bambini nacquero con malformazioni dovute ad alterazioni genetiche causate dalla contaminazione.

E’ così che uno dei mesi più belli in India, dicembre, tradizionalmente il mese dei matrimoni, divenne il mese della strage, nella notte tra il 2 ed il 3 del 1984.

E la Union Carbide? Beh considerando il danno causato, possiamo dire che la passò praticamente liscia. Il suo amministratore dell’epoca, Warren Anderson venne condannato in contumacia per omicidio dalle autorità indiane, chiedendo l’estradizione agli Stati Uniti, richiesta che manco a dirlo non venne minimamente presa in considerazione. Come se i soldi potessero ridare i cari ai defunti, nel 1989 venne raggiunto un accordo di risarcimento con le vittime, in una cifra poco distante dai 500 milioni di dollari, peccato che le autorità ne avessero richiesti 3 miliardi. Di questi soldi, le vittime videro pochi spiccioli, visto che il governo indiano si riempì il pancino con l’indennizzo.

Quando la Dow Chemical, nel 2001, acquistò la Union Carbide, qualcuno si fece avanti per richieder l’intera cifra dell’indennizzo, ma la Dow fece sapere che riteneva la cifra già pienamente sufficiente a risarcire le vittime. Cornuti e mazziati.

Ed al giorno d’oggi? Beh, la zona di Bhopal rimane ancora altamente contaminata, con valori dell’inquinamento delle acque superiori di 500 volte i valori soglia. L’incidenza del cancro nella popolazione è notevolmente aumentata, come le malformazioni genetiche ed evidenze statistiche di una maggiore incidenza di un gran numero di malattie sugli abitanti del luogo. A distanza di quasi 40 anni, la Union Carbide miete de facto ancora vittime.

Per oggi la terminiamo qui, alla prossima.

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